Luoghi della Negazione

Luoghi della Negazione

Luoghi della negazione (2011), a cura di Ambra Cusin e Giuseppe Leo, ed Frenis Zero web.tiscali.it/bibliopsi/frenishome.htm un testo collettaneo che contiene contributi sul tema della negazione tra cui scritti di Altounian, Amati Sas, Avakian, Litowitz, Resnik, Šebek et. al.

PREFAZIONE di Ambra Cusin

Ricordati di ricordare coloro che caddero
lottando per costruire
un'altra storia
e un'altra terra
ricordali uno per uno
perché il silenzio
non chiuda per sempre
la bocca dei morti
e dove non è arrivata la giustizia
arrivi la memoria
e sia più forte
della polvere
e della complicità
(Umberto Santino - Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato")

Sono le dieci di sera di una domenica. Squilla il telefono a casa di un’analista. A chiamare è una vecchia paziente che ha ormai concluso da più di dieci anni la sua lunga analisi.

“Dottoressa, mi scusi se la disturbo oggi, a quest’ora poi… ma devo parlarle con urgenza. Ho bisogno di sentire lei, la sua voce. Ho scoperto, compreso delle cose della mia famiglia a cui nella mia vita non avevo mai pensato. Delle cose che avrei dovuto dirle in analisi, che avrei dovuto elaborare e che invece ho taciuto… no anzi che non ho potuto pensare… nonostante l’analisi… Sento di aver fatto un’analisi finta, di averla imbrogliata, ma… certe cose proprio non le ho mai pensate eppure le avevo sotto il naso!”

La vecchia paziente è una persona di origini ebraiche, figlia di sopravvissuti alla Shoah, ha 67 anni; da tempo uno zio paterno si occupa di raccogliere le storie di quelle persone che erano bambini piccolissimi all’epoca delle persecuzioni, per fare delle ricerche in merito. In dieci anni di lavoro e di interviste non ha mai potuto pensare che questa nipote era uno dei possibili casi da intervistare. Ora, parlandone con quella che chiameremo Miriam (assomiglia un po’a “memoria”...), emergono non ricordi, ma collegamenti tra singoli ricordi spezzettati.

Non è un particolare da poco.

Miriam e lo zio si accorgono subito come, pur emergendo per lei delle novità sconvolgenti, la gran parte delle cose raccontate siano ben conosciute da entrambi. Sono state dette un sacco di volte, ma la novità è che Miriam comincia a pensare che tra un cosa e l’altra ci siano interessanti ed inquietanti intrecci. Dalle carte che recupera all’anagrafe scopre come sia stata fatta sparire una registrazione, di cui lo zio è stato testimone oculare: Miriam alla nascita, nel 1943, era stata registrata dal padre, di origini ebraiche, come figlia di madre “ignota” (sic!), visto che la madre era stata ebrea fino al 1939 quando aveva “dovuto battezzarsi” (assieme ai genitori) per tentare di aggirare le leggi razziali. Di questo fatto non c’è più traccia all’anagrafe…. Diniego della pubblica amministrazione che rifiuta il percetto, la realtà di un documento scritto nel 1943, forse per la vergogna di alcune possibili connivenze e complicità dell’epoca, e nel dopoguerra lo trasforma autonomamente per “nascondere” la verità?

Miriam, nel raccontare di come la madre fosse “non tanto una madre fredda, quanto piuttosto distaccata, poco affettiva, sebbene buona e disponibile”, ricorda anche che alla vicina di casa, cui veniva quotidianamente affidata mentre la madre andava a lavorare, veniva detto dai genitori: “se qualcuno chiede di chi sia questa bambina, lei dica che è una sua parente…”. “Perché?”, si chiede Miriam. E’ la prima volta, a 67 anni, che questo “perché” si fa largo nella sua mente. I genitori, Miriam lo sa bene, sono andati a vivere, nel 1941, per “lavoro” in Alto Adige in un paesino abbarbicato sui monti raggiungibile solo con una cremagliera. “Era lì che mia madre aveva vinto il posto di insegnante!”. O forse no? Forse, comincia a pensare Miriam, quel paesino era un ottimo nascondiglio, situato com’era nella “tana del lupo”, tra persone di lingua tedesca (che la madre di Miriam non è mai riuscita a parlare…) per i genitori che, lì, anonimamente, potevano sentirsi paradossalmente più tranquilli mentre nella loro città le loro origini ebraiche sarebbero state più in vista? La famiglia del padre di Miriam era molto conosciuta in città e la loro casa era da sempre luogo di ritrovo e festa per i giovani ebrei. Famosa fu la festa fatta all’inizio della guerra per carnevale, vestiti tutti da nazisti: con lo zio materno di Miriam vestito da Hitler…. Negazione…diniego... identificazione con l’aggressore? Quanto questo ridere di uno dei dittatori più sanguinari della storia ricorda le tante barzellette che circolano oggi su certi personaggi politici? Quanto il nostro attuale ridere nasconde e maschera una sorta di complicità mescolata ad ingenuità ed incoscienza?

Mentre i genitori sono in Alto Adige, una bisnonna e un cugino vengono deportati senza più far ritorno, i nonni paterno e materno, dopo aver perso il lavoro, fuggono e si nascondono, si nasconde anche una famiglia di cugini, tutti battezzati, ma di origine ebraica, degli amici intimi scappano in Svizzera, il padre di Miriam, artigiano, pur gestendo un laboratorio di radio, fino al 1957 non ha mai in casa una radio sua. Che strano! L’idea dei genitori “nascosti” si fa spazio nella mente di Miriam che recupera da un cassetto un vecchio anello della nonna materna, un anello che non è mai riuscita ad indossare. Miriam ha sempre saputo che questo anello faceva parte di un piccolo tesoro - di oggetti sottratti alla famiglia dai nazisti e ritrovati in Risiera, a Trieste, nell’unico lager nazista italiano! - recuperato dai nonni nel dopoguerra. Miriam solo ora riesce ad indossarlo… Ma accanto a queste aperture c’è un corpo che reagisce: Miriam sta sempre peggio, teme un infarto, un tumore, è piena di sintomi che dai medici vengono sistematicamente catalogati come crisi di ansia. Miriam è sempre stata ansiosa, ha vissuto, ancora piccolissima, i bombardamenti nella sua città, in cui i genitori si recavano quando erano liberi dal lavoro in Alto Adige, ma poi ha perso anche tragicamente in un incidente stradale la madre quando era adolescente. Ecco, erano questi i motivi della sua ansia…. Ma ora sente che la sua ansia è qualcosa di nuovo, sente che non riesce a vivere da quando questi ricordi si sono intrecciati tra loro. Dovevano rimanere separati! Scissi… La violenza dei potenti dinieghi, effettuati sui collegamenti tra i singoli ricordi che sono stati mantenuti tra loro rigorosamente separati per tanti anni, sembra volersi conservare nel suo corpo, come ci suggerirà Janigro nel suo testo in questo libro: “è ancora il soma che protesta e che si comporta nel modo che ogni bambino(persona) conosce”.

Al telefono l’analista le dice: “No, non ha fatto un’analisi finta, lei ha dovuto vivere nel nascondimento…”

Il nascondimento potrebbe essere considerato un luogo della negazione…. (continua…)


Dott.ssa Ambra Cusin
Psicologa Psicoterapeuta Psicoanalista a Trieste (TS)



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